Feb 042024
 

Traduzione dal tedesco del post del 18 novembre 2016:

Per la comprensione della formula erasmiana „in principio erat sermo“ come traduzione del noto Ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος, l’uso ciceroniano del vocabolo sermo mi sembra abbastanza decisivo. Cicerone e, in misura minore, Cesare erano la linea guida vincolante di un buon uso esemplare del latino per gli umanisti come Erasmo. Nell’opera di Cicerone, sermo si riferisce a una conversazione, o a un discorso sciolto, fluente, gentile, non violento, in lingua naturale, come diremmo oggi. Mentre il discorso retorico, l‘oratio abilmente realizzata – sia in tribunale, sia nell’assemblea del popolo, sia in senato o durante le celebrazioni – suscita passioni, cerca di influenzare e sopraffare l’ascoltatore, il sermo filosofico coltiva un’interazione socievole; Il sermo cerca lo scambio, non la vittoria; l’incontro, non la sopraffazione; il dialogo, non il monologo (unius oratoris lucutio); la comunione nella parola, non l’unione forzata in una volontà collettiva. Cicerone scrive, ad esempio, nel suo Orator ad Brutum:

Mollis est enim oratio philosophorum et umbratilis nec sententiis nec verbis instructa popularibus nec vincta numeris, sed soluta liberius; nihil iratum habet, nihil invidum, nihil atrox, nihil miserabile, nihil astutum; casta, verecunda, virgo incorrupta quodam modo. Itaque sermo potius quam oratio dicitur. Quamquam enim omnis locutio oratio est, tamen unius oratoris locutio hoc proprio signata nomine est.

Cicero, Orator ad M. Brutum, 64

Il sermo lascia quindi all’interlocutore la sua libertà di scelta; l‘oratio mira ad accattivare, influenzare, incantare e persuadere – per cui ogni mezzo è giustificato, compresi gli insulti, le lodi, l’istigazione all’odio, il balbettio supplichevole.

Cicerone attribuisce la suddetta libertà di scelta in particolare al dialogo filosofico, non al discorso pubblico impreziosito.

Ora, con la sua proposta di traduzione di Giovanni 1 „In principio erat sermo“, Erasmo attribuisce anche questa libertà di scelta all’azione creatrice di Dio; viceversa, la frase del prologo di Giovanni acquista un nuovo e profondo significato in quanto questa libertà di dialogo viene attribuita anche all’uomo. Erasmo, che conosceva e venerava Cicerone, trasferisce il discorso informale del dialogo filosofico al dialogo di Dio con la creazione, al dialogo della creatura con Dio, al dialogo tra gli esseri umani.

Un concetto così ampio di libertà nettamente separa Erasmo da Lutero. Lutero non conosceva e non riconosceva la libertà in questo senso ampio e globale. La formula di Lutero era servum arbitrium; Erasmo, invece, ha abbracciato la causa del liberum arbitrium, la libertà del libero arbitrio. Questa è la fede erasmiana nella libertà, che lo distingue profondamente da Lutero, con la sua dipendenza assoluta e fatale dell’uomo dalla volontà di Dio.

Ma noi andiamo ancora oltre: con la formula „In principio erat sermo“, Erasmo rifiuta la dipendenza dell’uomo dal destino. La comunità di destino diventa una comunità di dialogo. Il dialogo divino da cui emerge il mondo non è già con Dio, ma piuttosto verso Dio (πρὸς τὸν θεόν), e quindi ci rende liberi. Ci libera dalla schiavitù della colpa. Livella la differenza abissale tra Dio e l’uomo. „Spianate nella steppa la strada“, questo versetto di Isaia (40,3), riferito a Cristo, significa: c’è un dialogo tra Dio e l’uomo, e colui che apre la strada a Dio, per la fede erasmiana nella libertà, non può che essere Gesù. In lui, attraverso di lui e con lui, si verifica l’emergere di un nuovo modo di pensare la libertà, che non esisteva in questa forma radicale prima del Vangelo di Giovanni, e che da allora è stato abbandonato tante volte.

Vangelo secondo Giovanni, Novum testamentum graece, ed. Erasmiana, 1,1-13

Foto:
Un dialogo. Affresco a Castel Roncolo presso Bolzano, foto del blogger chi scrive, 12/08/2016

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